La mia città – Luca Carboni

La mia città, senza pietà, la mia città
Ma come è dolce certe sere
A volte no, senza pietà
Mi chiude in una stanza
Mi fa sentire solo
Una città, senza pietà, la mia città
Non la conosco mai fino in fondo
Troppi portoni, troppi cassetti
Io non ti trovo mai
Tu dimmi dove sei

Adesso dove si va, cosa si fa, dove si va
Siamo sempre dentro a qualcosa
Un’auto che va o dentro un tram
Senza mai vedere il cielo
E respirando smog

Ma-ma-ma guarda là, che cazzo fa, ma pensa te
Ma come guida quel deficiente
Poi guarda qua, che ora e’ già
Ma chi ti ha dato la patente
Che ti scoppiasse un dente
A te

Siamo sempre di corsa
Sempre in agitazione
Anche te
Che anche se lecchi il gelato
C’hai lo sguardo incazzato
La mia città, senza pietà, la mia città
Ma come è bella la mattina
Quando si accende, quando si sveglia
E ricominciano i rumori
Promette tante cose

Ma dimmi dove sarà, prima era qua
C’è un nero che chiede aiuto
Dove sarà questa città
È sparita senza pietà
C’ha troppi muri la mia città

Ma guarda che civiltà la mia città
Con mille sbarre alle finestre
Guardie giurate, porte blindate
E un miliardo di antifurti
Che stanno sempre a suonare

Perché
C’è chi ha troppo di meno
E chi non si accontenta
E c’è
O chi si deve bucare
In un angolo di dolore
E c’è
Che c’è bisogno di tutto
C’è bisogno di un trucco

Senza pietà, la mia città
Signora guardi che belle case
Però a lei no, non gliela do
Mi dispiace signora mia
È tutto uso foresteria

Ma la città, senza pietà, una città
Ti dice che non è vero
Che non c’è più la povertà
Perché è tutta coperta
Dalla pubblicità

E c’è chi a lavorare
È obbligato a imbrogliare
E c’è
Chi per poterti fregare
Ha imparato a studiare
E c’è
Che c’è bisogno di un trucco
C’è bisogno di tutto
E c’è
Bisogno di più amore
Dentro a questa prigione

6 – Finale

Don Fabrizio: O stella, o fedele Stella. Quando ti deciderai a darmi un appuntamento meno effimero, lontano da tutto? Nella tua regione di perenne certezza. 

Don Calogero: (si sente un colpo di cannone)Bell’esercito, fa sul serio! È proprio quello che ci voleva. Per la Sicilia. Ora possiamo stare tranquilli.

4 – Don Fabrizio chiede la mano di Angelica per Tancredi

Tancredi si è innamorato follemente di Angelica dopo averla vista ad un ballo. Angelica ricambia l’amore e tra i due c’è stato anche un bacio. Tancredi, mentre è in battaglia, scrive allo zio perchè chieda a suo nome la mano di Angelica al padre, Don Calogero

Don Fabrizio: Mettiamo le carte in tavola e non facciamo tante storie per un semplice bacio. Ricordate che sono io che l’ho fatta chiamare! 

Don Calogero: Certo, certo. 

Don Fabrizio: Io volevo comunicarvi una lettera. Scritta da mio nipote. Che è arrivata ieri sera, anzi stanotte, per essere precisi. In essa egli dichiara la sua passione per la signorina vostra figlia. E mi incarica di chiedervi, ufficialmente, la mano della signorina Angelica. Ora tocca a voi dichiarare le vostre intenzioni. 

Don Calogero: Scusatemi. Principe. La bella sorpresa mi aveva tolto la parola. Io conosco quello che avviene nel cuore, nella mente di Angelica e credo di poter dire che l’affetto di don Tancredi che tanto ci onora tutti è sinceramente ricambiato. 

Padre Pirrone:  Noi invochiamo la protezione di Dio su queste nozze. La vostra gioia è diventata la mia, eccellenza. Bravo, bravo. (guardando il barometro) Si mette al brutto.

Don Fabrizio: Don Calogero, non c’è nessun bisogno che io vi dica quanto sia illustre la famiglia Falconeri. Venuta in Sicilia con Carlo d’Angiò. Continuò a fiorire sotto gli Aragonesi, gli Spagnoli, i Borboni anche. Sempre che mi sia permesso a nominarli in vostra presenza. Furono pari del Regno, Grandi di Spagna, Cavalieri di Santiago. Ma non c’è nessun bisogno che io vi parli dell’antichità di casa Falconeri. E’ disgraziatamente anche inutile, perché lo sapete già, dirvi che le attuali condizioni economiche di mio nipote Tancredi non sono pari alla grandezza del suo nome. Mio cognato don Ferdinando, non era quello che si dice un padre preveggente. Le sue magnificenze di gran signore hanno gravemente scosso il patrimonio di mio nipote. Ma, Don Calogero, il risultato di tutti questi guai, di questi crepacuori è Tancredi. Queste cose noialtri le sappiamo bene. E forse impossibile essere così distinto, sensibile e affascinante come Tancredi, senza che i suoi maggiori abbiano dilapidato una dozzina di patrimoni. Almeno così è in Sicilia. 

Don Calogero: Ma tutte queste cose le so. E molte altre. Ma l’amore, eccellenza. L’amore è tutto e io posso saperlo. Ora sentite. Io sono un uomo di mondo e voglio anch’io portare le mie carte in tavola. È giusto che i ragazzi conoscano quello su cui possano contare subito. Col contratto di matrimonio assegnerò a mia figlia il feudo di Settesoli. Ettari 1010. Tutto a frumento. Terre di prima qualità, fresche e ventilate e 500 ettari di vigneto e uliveto a di più dolce… 

3 – Chiesa e rivoluzione

Il principe Solina ha un confronto con Padre Pirrone sulla posizione della Chiesa rispetto alla rivoluzione di Garibaldi

Don Fabrizio: Ho fatto importanti scoperte politiche. Sapete che succede nel nostro Paese? Niente succede, niente, solo un inavvertibile sostituzione di ceti. Il ceto medio non vuole distruggerci, ma vuole solo prendere il nostro posto con le maniere più dolci, mettendoci magari in tasca qualche migliaio di ducati. E poi tutto può restare com’è. Capite bene che il nostro è il paese degli accomodamenti. 

Padre Pirrone: In poche parole, voi, signori, vi mettete d’accordo con i liberali, addirittura con i massoni, a spese nostre. Sì, a spese della Chiesa, perché è chiaro che tutti i nostri beni, quei beni che sono patrimonio dei poveri, verranno arraffati e malamente divisi tra i caporioni più impudenti. E dopo. Chi sfamerà quella moltitudine di infelici che ancora oggi la Chiesa sostenta e guida? Come si farà allora per placare quelle turbe di disperati? Ve lo dirò io, eccellenza. Si comincerà col dar loro in pasto prima una porzione, poi un’altra, e alla fine l’intero delle vostre terre. Nostro Signore guariva i ciechi dal corpo, ma i ciechi di spirito dove finiranno?

Don Fabrizio: Non siamo ciechi di spirito, caro Padre, ma solamente esseri umani in un mondo in piena trasformazione, che dovremmo fare? Alla Chiesa è stata fatta esplicita promessa di immortalità. A noi come classe sociale no. Per noi un palliativo che ci permetta di durare ancora 100 anni equivale all’eternità. Al di là di quanto possiamo accarezzare con le nostre mani, noi non abbiamo obblighi. La Chiesa sì, sì, lei deve averne perché è destinata a non morire. Nella sua disperazione è implicito il conforto. Credete voi, padre, che semmai un giorno la Chiesa potesse salvarsi sacrificando noi esiterebbe a farlo? Non esiterebbe e farebbe bene.