5 maggio 1821

Alessandro Manzoni

Il cinque maggio è una poesia scritta da Alessandro Manzoni nel 1821 in occasione della morte di Napoleone Bonaparte in esilio a Sant’Elena.

Nell’opera, scritta in tre giorni, Manzoni, che era molto religioso, parla delle battaglie e delle imprese dell’ex imperatore, ma anche della fragilità umana e della conversione di Napoleone negli ultimi giorni di vita.

Alessandro Manzoni, uno dei più grandi scrittori italiani dell’ottocento, scrisse la poesia a Milano, quando questa era ancora occupata, anche un pò per spirito patriottico contro gli austriaci, di cui Napoleone era stato uno dei maggiori nemici, ed infatti la poesia fu vietata nei territori dell’Impero austro-ungarico mentre si diffuse rapidamente nel resto dell’Italia e dell’Europa.

Il testo riportato è solo la prima parte della poesia.

Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,

muta pensando all’ultima
ora dell’uom fatale;
nè sa quando una simile
orma di piè mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.

Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sonito
mista la sua non ha:

vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al subito
sparir di tanto raggio:
e scioglie all’urna un cantico
che forse non morrà.

Dall’Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall’uno all’altro mar.

Fu vera gloria? Ai posteri
l’ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.
(Continua….)
Egli fu. Come immobile,
dopo l’ultimo respiro,
rimase il corpo privo di sensibilità
privato di un’anima così grande,
allo stesso modo colpita, sconcertata
la terra resta alla notizia

muta, pensando all’ultima
ora dell’uomo inviato dal destino;
e non sa quando di nuovo
un piede così importante
verrà a calpestare
la polvere delle sue battaglie

Lui, trionfante sul trono
vide il mio spirito di poeta e non parlò;
quando, con alterne vicende,
cadde, risorse e ricadde definitivamente,
il mio spirito non ha unito la sua voce
a quella di mille altre.

Puro da elogi servili
e da offese vigliacche,
Il mio spirito si fa sentire ora commosso
dall’improvvisa scomparsa di
tanta luce:
e innalza al sepolcro un canto
che forse non morirà.

Dalle Alpi alle Piramidi,
dal Mazanarre al Reno,
quell’uomo era come un fulmine
che veniva subito dopo il lampo;
scoppiò da Scilla al Tanai,
da un mare all’altro.

Fu gloria vera? Lasciamo ai posteri
la difficile sentenza:
noi abbassiamo la fronte
al Creatore che ha voluto
lasciare in lui una impronta
del suo spirito più grande
che agli altri uomini
(Continua…)

Favole al telefono

Gianni Rodari

Il 2020 è l’anno del centenario della nascita di Gianni Rodari, uno scrittore, pedagogista, poeta e giornalista italiano, nato sul lago d’Orta, in Piemonte nel 1920.

E’ conosciuto in Italia ed all’estero per i suoi racconti per l’infanzia, grazie ai quali ha vinto il Premio Hans Christian Andersen nel 1970.

Ha scritto la Grammatica della Fantasia, una guida teorica sull’arte di inventare storie.

Tra i suoi racconti per bambini ci sono Le favole al telefono, che nascono dall’idea di un padre che fa il commesso viaggiatore e, quindi, spesso la sera non è a casa. Però tutte le sere telefona al figlioletto e gli racconta una favola prima che vada a dormire.

Le favole al telefono sono, perciò, brevi ma piene di poesia e di insegnamenti.

 

Dalle Favole al telefono di Gianni Rodari

Brif, bruf, braf

Non importa che lingua tu parli, se c’è la voglia di comunicare e se condividi le emozioni”

Due bambini, nella pace del cortile, giocavano a inventare una lingua speciale per poter parlare tra loro senza far capire nulla agli altri.
– Brif, braf, – disse il primo.
– Braf, brof, – rispose il secondo. E scoppiarono a ridere.
Su un balcone del primo piano c’era un vecchio buon signore che leggeva il giornale, e affacciata alla finestra di fronte c’era una vecchia signora né buona né cattiva.
– Come sono sciocchi quei bambini, – disse la signora.
Ma il buon signore non era d’accordo: – Io non trovo –
– Non mi dirà che ha capito quello che hanno detto –
– E invece ho capito tutto. Il primo ha detto: che bella giornata. Il secondo ha risposto: domani sarà ancora piú bello – 
La signora arricciò il naso ma stette zitta, perché i bambini avevano ricominciato a parlare nella loro lingua.
– Maraschi, barabaschi, pippirimoschi, – disse il primo.
– Bruf, – rispose il secondo. E giú di nuovo a ridere tutti e due.
– Non mi dirà che ha capito anche adesso – esclamò indignata la vecchia signora.
– E invece ho capito tutto – rispose sorridendo il vecchio
signore.
– Il primo ha detto: come siamo contenti di essere al mondo. E il secondo ha risposto: il mondo è bellissimo. –
– Ma è poi bello davvero? – insisté la vecchia signora.
– Brif, bruf, braf, – rispose il vecchio signore.